La “fame nervosa” ovvero l’azione mentale del cibo.
Accanto ai programmi che riguardano il cambiamento dello stile di vita, l’adozione di nuove abitudini, l’attività fisica, il controllo del peso, non possono essere trascurati ed in alcuni casi diviene fondamentale la gestione dello stress che influenza in maniera ormai inequivocabile l’assunzione di cibo.
Lo stress è il maggior responsabile di quella che autori anglosassoni hanno denominato “Carboidrate Craving Obesity”, sindrome caratterizzata da un aumento del consumo ossessivo di carboidrati, soprattutto nell’arco pomeridiano / serale, associata a disturbi affettivi in senso depressivo, alterazioni del tono dell’umore o semplici sbalzi dello stesso.
Tale modalità può ritrovarsi, ad esempio, nella sindrome premestruale durante la quale, oltre al corteo di sintomi comportamentali ed affettivi, si ritrova spesso la presenza di uno spiccato desiderio per i dolci, il cioccolato e i carboidrati in genere e alla cui assunzione segue solitamente un miglioramento del tono dell’umore.
L’interpretazione di questo comportamento ha indotto gli studiosi ad attribuire al cibo l’ulteriore ruolo di modulatore dell’umore. I carboidrati, infatti, possono interagire sulla serotonina cerebrale responsabile sia della nostra tristezza che della nostra allegria, oltre che della risposta a stimoli stressanti o dolorosi, dell’aggressività, dell’appetito. Almeno due sono i meccanismi individuati che correlano l’umore con l’appetito.
Il primo nasce dall’osservazione che l’organismo stressato produce noradrenalina, che presenta un’azione inibente sulla corticotropina ormone che ha, tra i suoi numerosi effetti, quello di togliere l’appetito.
È chiaro dunque come lo stress, producendo noradrenalina, impedisca alla corticotropina di farci sentire sazi, mantenendo sempre alto e continuo il senso di fame, tipicamente avvertito in situazioni di preoccupazione o di ansia.
Ma quale sostanza solitamente antagonizza gli effetti della noradrenalina? La serotonina, che al contrario della noradrenalina, stimola la liberazione di corticotropina e, di conseguenza, la sensazione di sazietà!
Un altro meccanismo ci può spiegare perché un dolce o un pasto ricco in carboidrati ci possa far sentire meno malinconici o più felici. Un pasto a base di zuccheri, semplici o complessi, stimola il pancreas a secernere insulina che, oltre a permettere agli zuccheri di entrare nelle cellule, favorisce l’ingresso nei muscoli di alcuni aminoacidi. Questo meccanismo è meno efficace nei confronti del triptofano che quindi oltrepassa più facilmente la barriera ematoencefalica, visto che trova una minore concorrenza da parte degli altri aminoacidi. In questo modo si rende più disponibile per la produzione di serotonina.
Il sistema nervoso, con tutte le sue connessioni, è il perno attorno al quale ruota tutto questo sistema. L’assunzione di cibo, nell’uomo, è preceduta, accompagnata e seguita da una serie di fenomeni di ordine edonistico, estetico, sociale, economico e simbolico.
L’introito alimentare è pertanto un processo piuttosto complesso, regolato sia da stimoli esterni (quantità e qualità del cibo, appetibilità, fattori ambientali, psicologici, culturali etc..) che da stimoli provenienti dall’interno del nostro organismo (segnali ormonali, neurochimici e metabolici).
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